È la primavera del '39. In questa cittadina nel sud dell'Olanda, un uomo in giacca scura, gilet e l'elegante cravatta regimental, osserva a pochi passi dalla linea di fondo, il piccolo impianto sportivo: il Markettenweg non ha una pista d'atletica, le curve sono quasi del tutto assenti e alle sue spalle vi e' una modesta tribuna coperta capace di ospitare a malapena 4000 persone. Quello che vede sul campo non è più rassicurante: una quindicina di ragazzi che corrono disordinatamente dietro a un pallone con le sciarpe al collo per difendersi dal freddo. Sono lavoratori e studenti che alla domenica vestono le maglie del Dordrechtschte football club con alterne fortune: a poche giornate dal termine sono ultimi nel girone Ovest B, uno dei cinque in cui si divide la serie A olandese. L'uomo che li osserva, invece, è l'ungherese Arpad Weisz, l'allenatore più giovane ad aver vinto un campionato italiano: nel 30 alla guida dell'Ambrosiana (l'attuale Inter), per poi ripetersi nel 36 e nel 37 a Bologna, con il quale conquista anche il Trofeo dell'Expo internazionale di Parigi, una sorta di Champions League dell'epoca, ai danni dei maestri inglesi del Chelsea.
Dirà di lui Enzo Biagi: “Mi sembra si chiamasse Weisz, era
molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito”. Di quest'uomo, morto ad
Auschwitz nel gennaio del 44, per più di 60 anni si era persa effettivamente
ogni traccia. Nessun articolo commemorativo, nessuna notizia sui giornali
italiani a partire dal 38, anno in cui, per via delle leggi razziali imposte
dal fascismo, fu costretto ad abbandonare l'Italia per riparare in Francia
prima e in Olanda poi. Un oblio terminato solo nel 2007 con l'uscita del
meraviglioso libro di Matteo Marani “Dallo scudetto ad Auschwitz”, a cui hanno
fatto seguito diversi articoli e lo splendido documentario “Buffa racconta
Arpad Weisz”.
Gli ultimi anni della carriera sportiva di Weisz, prima che
la storia, tragica, abbia il sopravvento sull'uomo, vengono sempre citati
frettolosamente. Di come uno tra i più titolati allenatori del continente sia
finito nel piccolo DFC a lottare per la salvezza in un campionato completamente
dilettantistico si sa poco. Al massimo ci si chiede perchè una figura cosi
importante del mondo pallonaro non abbia deciso, come altri prima di lui, di
fuggire e salvarsi ad esempio in Sud America. Weisz non era un ebreo ortodosso
e i suoi due figli vennero battezzati con rito cristiano a Bologna. Forse, più
semplicemente, Weisz era un uomo di calcio
che trovava la sua pace sul terreno di
gioco, fosse quello maestoso del Littoriale di Bologna, del Colombes di Parigi,
o il più modesto Markettenweg di Dordrecht. Era sul campo che poteva fare ciò
che più amava: insegnare calcio (nel 30 scrisse un manuale “Il giuoco del
calcio”, in cui spiegava le
situazioni tattiche per ogni singolo ruolo, discostandosi dal WM di Chapman e
introducendo il più pragmatico modulo WW che farà le fortune di Pozzo e della
nazionale italiana nel 34 e nel 38), e lanciare giovani talenti (Meazza su
tutti, ai tempi dell'Ambrosiana). Ed è quello che fece per poco più di due anni
anche nel piccolo DFC.
Nell' Olanda del 39, dove il
calcio è un fenomeno dopolavoristico e non esistono giornali specializzati, la
figura di Weisz è pressochè semisconosciuta. Non per Karel Lotsy, un ex
allenatore e futuro selezionatore della nazionale orange che introdusse
tecniche motivazionali in ambito sportivo; a febbraio incontra l'ungherese a
Parigi, sapendo che può essere l'unico in grado di migliorare le sorti sportive
della compagine biancorossa oltre a favorire un miglioramento nell'intero
movimento. Weisz, date le circostanze, ha bisogno di lavorare e, soprattutto,
di un posto sicuro in cui vivere. Il 14 maggio il DFC con il nuovo tecnico alla
guida, strappa un punto sul campo del UVV
al quale faranno seguito le vittorie, sia in casa che in trasferta
contro il SVV. Il girone è dominato dall'Ajax, mentre il piccolo DFC si gioca
la permanenza nella massima serie l'11 giugno nello spareggio contro l'UVV. Ci
sono alcune fotografie che ricordano quel giorno con il tabellone in legno del vecchio impianto a
riportare il risultato finale di 2-1.
Mancano meno di tre mesi
all'invasione della Polonia da parte dei panzer del Reich, ma Weisz concentra i
suoi sforzi su quel gruppo di dilettanti: preparazione atletica in estate,
allenamenti rigorosi con tre sedute settimanali durante la stagione, nozioni
tattiche innovative e introduzione del ritiro prima della partita. I giocatori
si ritrovano all'hotel Polsen ogni domenica mattina, con il tecnico ad
istruirli sulla tattica da tenere in campo. Il piccolo DFC, che nella stagione
precedente aveva chiuso il girone con soli 7 punti, inizia a macinare vittorie:
con il CVV Rotterdam, l'HBS Den Haag, il RFC Rotterdam sino al clamoroso
successo casalingo con il Feyenoord (che vincerà il campionato) e la goleada
rifilata all'altra grande dell'epoca, lo Sparta. Una cavalcata totalmente
inattesa per un piccolo club abituato a lottare per la salvezza che li porterà a
chiudere il campionato ad un ottimo quinto posto. Oltre a far esordire in prima
squadra numerosi giovani, Weisz crea uno staff professionale ed affiatato:
Lotsy fa da interprete alle sue indicazioni tattiche, il massaggiatore Brugman
e il segretario Van de Linden lo aiutano nella preparazione atletica dei
ragazzi, fino al presidente Van Twist che diviene il miglior amico del tecnico
e gli rimarrà fedele fino al tragico epilogo.
Il blitzkrieg, la guerra lampo
ordinata da Hitler nella folle corsa espansionistica, giunge in Olanda il 10
maggio del 40. Quattro giorni dopo le truppe olandesi si arrendono. Le
restrizioni nei confronti degli ebrei imposte dal governo olandese, compiacente
con i nuovi padroni, sono inizialmente meno rigide che in Italia. Nell'estate
del 40, quindi, Weisz progetta la preparazione atletica in vista dell'imminente
campionato. Nel corso delle settimane, però, la situazione e le condizioni di
vita per gli ebrei olandesi vanno gradualmente peggiorando. La clessidra del
tempo scivola via inesorabile, l'unico spazio per evadere dall'incubo
circostante è il campo di gioco, l'unico strumento con il quale provare a
sentirsi ancora uomini e un pallone di cuoio che, anche nella stagione
successiva, varcherà la linea di porta avversaria 39 volte, per un totale di
sette vittorie, cinque pareggi e sei sconfitte. Anche in questa stagione la
compagine di Weisz batterà il più blasonato Feyenoord e confermerà
un'incredibile quinto posto. Il girone se lo assicurerà l'Ado Den Haag, ma le
imprese sportive perdono di valore di fronte alla tragedia nella quale sta
precipitando la storia.
“C'è un'unica cosa che ha
permesso ad Arpad Weisz di arrivare sin qua. È stato l'amore sconfinato per il calcio....Se c'è un
modo per uccidere Weisz è togliergli il pallone”.
Nel documento del 29 settembre 1941 inviato dal Commisariato di polizia ai
dirigenti del Dordrecht e conservato tutt'ora allo Stadsarchief nell'archivio
centrale della città, si legge: “Vi informo perciò che, sulla base
dell'ordine del 15 settembre 1941 sul pubblico comportamento degli ebrei, ad
Arpad Weisz, allenatore della vostra associazione, è proibito trovarsi su un
terreno dove sono organizzate partite accessibili per il pubblico”. Per
Weisz è finita. In quell'anno con ogni probabilità ad occuparsi dei bisogni
materiali ed economici della famiglia del tecnico ungherese ci penserà il
presidente Van Twist; nessuno, invece, sarà in grado di salvarli quando la
mattina del 2 agosto 42, la Gestapo li preleverà nella casa al numero 10 di
Bethlehmplein.
Arpad Weisz morirà il 31 gennaio
1944 ad Auschwitz. Il Markettenweg chiuderà i battenti il 29 febbraio 1948,
davanti a 13 mila spettatori, vincendo per 4-1 contro il solito Feyenoord.
Lascerà il posto al Krommedijk, che è
ancora oggi la casa del Dordrecht. Sul
sito ufficiale del club, nella sezione “storia”, non vi è alcun riferimento al
biennio 39-41, in cui la squadra raggiunse i migliori risultati sportivi della
sua storia. Un inspiegabile e vergognoso oblio che ha condannato Weisz sia in
Italia che in Olanda e che, se possibile, rende ancora più tragica la sua fine.
A cura di: Enrico De Massis
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