Dopo la fastosa cerimonia di apertura, svoltasi a Buenos Aires, l’Olanda disputa la gara inaugurale, contro l’Iran, a Mendoza, pittoresca città ad ovest della capitale, situata ai piedi delle Ande. Lo stadio era stato costruito appositamente per i Campionati del Mondo, ma il terreno era troppo morbido ed il clima non era dei migliori. Gli olandesi si presentarono con una divisa completamente arancione, non utilizzando più il pantaloncino nero, così come avevano fatto in passato. L’Iran si impegnò molto per sfruttare al meglio le pochissime possibilità concesse dalla retroguardia olandese. Tuttavia essi impostarono una gara prettamente difensiva, attendendo gli avversari nella propria metà campo, cercando di contrastarli meglio possibile, anche se sul gioco aereo pagavano la differenza di statura. Poco prima dell’intervallo, l’inesperienza della squadra iraniana si materializzò in un calcio di rigore a favore degli olandesi. René van de Kerkhof intercettò una palla nel cerchio di centrocampo e si involò in area di rigore, dove venne atterrato da Abdollahi. Nell’occasione il giocatore olandese si infortunò e fu costretto a portare, per tutto il resto del torneo, un leggero gesso al polso, protezione che creò, come si vedrà, grossi problemi in finale.
Il calcio di rigore fu realizzato da Rensenbrink, che portò in vantaggio l’Olanda alla fine del primo tempo. Nella ripresa gli olandesi dimostrano tutta la loro superiorità in termini di organizzazione e autorevolezza, mentre l’Iran badò solo a difendersi per evitare di subire un passivo umiliante. La seconda rete di Rensenbrink fu segnata di testa su un preciso cross, dalla destra, di René van de Kerkhof. Il terzo gol arrivò ancora su calcio di rigore; Rep si infilò in area e finì con l’essere atterrato dalla difesa iraniana. Rensenbrink trasformava il secondo penalty della giornata, chiudendo il match con una tripletta personale.L’Olanda approdata alla finale in Argentina era una lontana e sbiadita parente della formazione irresistibile che quattro anni prima in Germania Ovest aveva sbalordito il mondo con un calcio rivoluzionario e spettacolare. L’abbandono a soli 31 anni di Johan Cruijff, il profeta, il solo fuoriclasse in grado di nobilitare quegli schemi impregnati di atletismo e di forza fisica, aveva tolto fantasia ed ispirazione alla manovra. Ernst Happel, lo scontroso e formidabile tecnico austriaco che guidava gli orfani di Johan Cruijff, era tuttavia riuscito ad allestire una squadra ugualmente competitiva, seppur di alterni umori. Il telaio era ancora costituito dagli sfortunati eroi di Monaco di Baviera: il portiere anomalo Jongbloed, Surbieer e Krol, Jansen e Neeskens, Rep e Rensenbrink, Rijsbergen e Haan. I nuovi, non di eccelsa qualità, erano Brandts, Poortvliet, Van Kraay, Nanninga e gli ottimi gemelli Renè e Willy Van de Kerkhof. Era un’Olanda meno scintillante, ma capace di randellare scientificamente, nei momenti di emergenza: l’aveva dimostrato rovesciando la partita con l’Italia, che le era tecnicamente superiore, proprio per averla messa sul piano fisico ed intimidatorio. Sicuramente, se c’era una squadra insensibile al fattore campo, sufficientemente sfrontata per non subire il pesante condizionamento di un pubblico scatenato, questa era l’Olanda. C’era molta attesa per la designazione dell’arbitro, dopo i ripetuti favori ricevuti dai padroni di casa che avevano fatto drizzare le antenne a tutti gli osservatori. La scelta dell’italiano Gonella parve una sufficiente garanzia. Va detto che, inizialmente, era stato designato l’isreliano Klein (che aveva diretto Argentina–Italia 0–1), ma gli argentini protestarono e così venne scelto l’arbitro italiano. L’Argentina aveva raggiunto la finale dopo la famosa gara contro il Perù. La gara dell’Argentina era stata disputata dopo che era terminato l’incontro del Brasile, così da sapere quale risultato servisse per raggiungere la finale. I carioca avevano battuto
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